L’onestà è una colonna portante delle relazioni sane. Non molto tempo fa domandai ad un gruppo di amici e vicini di casa quanto onesti si reputassero. Chiesi loro di autovalutarsi con una scala da 1 a 10, in cui 10 significava essere quasi sempre onesti e 1 quasi mai onesti.
Quasi tutti nel mio sondaggio, per nulla scientifico, si autoclassificarono con un 8 o anche più. Probabilmente molti altri risponderebbero in modo simile.
Credo che la maggior parte delle persone sia sincera, non evada le tasse, non compia furti nei negozi, mantenga le proprie promesse, sia scrupolosa nei propri accordi con gli altri e sia generalmente meritevole di fiducia.
Credo tuttavia che queste stesse persone, se irritate o in conflitto, abbiano maggiore difficoltà a mantenere un comportamento onesto.
Supponiamo, ad esempio, che una mia figlia adolescente ritorni a casa da una festa dopo la mezzanotte, con oltre un’ora di ritardo rispetto a quella concordata, dicendo: “Ciao a tutti, scusate il ritardo” e che io l’abbia attesa con ansia e preoccupazione camminando su e giù per la casa, chiedendomi cosa fosse accaduto e perché mai non avesse avvertito e paventando che le potesse essere capitato un incidente.
Casa potrei dirle al suo ritorno? Le frasi seguenti vi ricordano qualcosa?
- Non sai che sei in ritardo da più di un’ora?
Dove sei stata tutto questo tempo?
- Non hai chiamato. Sei una menefreghista!
- Vattene subito nella tua stanza. Sei in punizione!
Avrete sicuramente riconosciuto questi messaggi tipici dei genitori.
In particolare, si tratta delle suddette barriere: sottoporre a interrogatorio, etichettare e comandare. Tutti questi messaggi si riferiscono alla figlia, ma non dicono nulla riguardo a me, alle mie trepidazioni o ai miei sentimenti.
Eppure, di chi era il problema in questo caso?
Non certo della figlia, vi pare? O meglio,almeno fino a quando non ha dovuto affrontare me, un genitore furibondo che di certo aveva un problema.
Però vedete, i problemi devono essere risolti da chi li ha e, per poter far ciò, è necessario parlare, ed è per l’appunto ciò che feci.
Tuttavia c’è modo e modo di parlare e quello che avrei usato io avreste potuto far insorgere problemi peggiori
Mi occorreva dunque un modo più diretto e più accurato.
In teoria, confrontarsi è facile, ma in pratica comporta alcune difficoltà. Affinché un messaggio di confronto sia veramente efficace, il linguaggio impiegato deve rispettare quattro criteri.
- Deve avere una grande probabilità di generare un cambiamento utile.
- Non deve sminuire l’autostima dell’interlocutore.
- Non deve ledere la relazione.
- Non deve specificare alcuna particolare soluzione.
Conosco soltanto un modo di parlare che si attiene a questi criteri ed esso necessita di un linguaggio alquanto diverso da quello maggiormente diffuso nella nostra cultura, composto da messaggi in seconda persona impositivi, accusatori e critici.
Come nel caso della mia figlia ‘ritardataria”,
quasi tutti reagiscono ai comportamenti inaccettabili descrivendo la persona che ci ha “lesi”
Si tende a pronunciare frasi, quali ad esempio:
“Sei maleducata!”
“Piantala!”
“Non te ne importa nulla di me.
“Non conseguirai mai nulla.’
“Sei una menefreghista!”
…e via dicendo.
Tali messaggi sono particolarmente penosi poiché attaccano la persona, le sue motivazioni o il suo carattere, anziché combattere ciò che essa ha detto o fatto, ossia il suo comportamento indesiderato.
Se si intende affrontare qualcuno, ci si deve limitare ad agire come una videocamera, e non come un giudice, e riferire il comportamento innegabile, ciò che è possibile vedere e sentire, sintetizzandolo nei termini il più possibile non accusatori.
Ad esempio, per chiunque è più semplice smettere di urlare che smettere di essere incurante.
Pertanto sarà più facile indurre qualcuno a smettere di urlare dicendo:
“Quando urli non riesco a concentrarmi” anziché “Sei maleducata e menefreghista”, che invece spinge la persona a domandarsi cosa avrà mai fatto di maleducato e di menefreghista.
Quando discutono, le persone tendono ad attingere al proprio bagaglio di congetture, valutazioni, interpretazioni e connessioni. E se si vuole litigare, allora le presupposizioni, le implicazioni, le valutazioni sono esattamente ciò che ci vuole.
Ma se ci si prefigge l’obiettivo di indurre un cambiamento comportamentale, è soltanto del comportamento che si deve parlare, ovvero di ciò che è stato fatto o detto.